Industria 4.0 la situazione europea e dei vari paesi dell’unione

Cosa hanno fatto gli altri stati per l’inserimento di innovazione tecnologica e transizione digitale

Industrie 4.0, Industrial Internet, High Value Manufacturing, Industrie de Futur, Fabbrica Intelligente: terminologie differenti per descrivere lo stesso fenomeno. In realtà, ogni Paese vive il nuovo paradigma e si approccia alle innovazioni in maniera diversa in quanto il tessuto imprenditoriale di ognuno di essi presenta caratteristiche differenti rispetto agli altri; questo è il motivo per cui il modello americano poco si adatta alla realtà italiana.

Perché questo? Come i principali stati europei si interfacciano a questo nuovo modo di fare impresa?

E negli Stati Uniti d’America, che caratteristiche ha il modello adottato dagli americani?

Provando a dare una risposta e cominciando da quest’ultimo quesito, partiamo dall’analisi dello scenario americano, contesto che vede una collaborazione molto forte tra settore pubblico e privato in quanto centri di ricerca, aziende e governi federali lavorano assieme per provare a creare le condizioni per operare in ottica industria 4.0.

Entrando nel dettaglio, la realtà statunitense è prevalentemente formata da grandi imprese che operano nel settore delle telecomunicazioni, dell’ICT e dell’industria manifatturiera; inoltre, di fondamentale rilevanza è anche la presenza di università, tra cui quella della California (nota principalmente con l’acronimo UCLA) e quella dell’West Virginia che, assieme alle tipologie di grandi imprese appena menzionate, arricchiscono e completano il territorio statunitense (Magone , et al., 2016). Barack Obama, con l’obiettivo di rilanciare l’industria manifatturiera americana e restituirle capacità occupazionale, ha adibito un fondo di 500 milioni di dollari all’Advanced Manufacturing Partnership (AMP), un’organizzazione nata dalla cooperazione tra università, centri di ricerca e rappresentanti delle più grandi imprese del Paese. A livello operativo, questa forma collaborativa punta alla creazione di piattaforme basate sulla gestione, analisi ed integrazione dei dati provenienti dai processi produttivi aziendali. Per incentivare la collaborazione tra settore pubblico e privato l’AMP ha realizzato i cosiddetti “Manufacturing Innovation Institutes” (MIIs), ognuno dei quali è chiamato a lavorare su diversi e specifici ambiti di sviluppo del settore tecnologico. Alla luce di una ricerca condotta dal Boston Consulting Group (Rüßmann, 2015) si è evidenziato che il 43% dei manager ed imprenditori statunitensi credono nelle potenzialità dell’Industrial Internet, soprattutto sulle opportunità di produrre a costi sostanzialmente inferiori a fronte di un aumento della produttività degli impianti. Questo atteggiamento positivo verso la digitalizzazione diviene propositivo nel momento in cui si considera la tendenza da parte delle grandi imprese ad effettuare corposi investimenti di venture capital aziendale.

A differenza del contesto americano, l’Europa si presenta, invece, come uno scenario estremamente eterogeneo: ogni Paese ha delle caratteristiche particolari e, proprio sulla base di quest’ultime, ognuno di essi tenta di plasmare un piano industria 4.0. I singoli progetti sono incentivati dal programma di ricerca predisposto dalla Commissione 13 Europea, Horizon 2020, programma settennale che consente di finanziare le iniziative in ottica industria 4.0. L’obiettivo da raggiungere è l’incremento della competitività delle fabbriche europee, possibile solo attraverso un piano di investimenti volto alla creazione di smart factories; questo deve evitare il declino e l’impoverimento dell’industria manifatturiera europea con conseguente spostamento della produzione in altre aree del mondo. Tali progetti, per poter consentire all’azienda di godere del fondo europeo di 1,15 miliardi di euro, devono necessariamente seguire la roadmap messa a punto dall’EFFRA, European Factories of the Future Research Association, organizzazione che comprende al proprio interno aziende industriali europee, università e centri di ricerca. La cooperazione tra settore pubblico e privato è evidente. I singoli modelli nazionali esercitano un’influenza molto forte sul modello adottato a livello comunitario; quello che sicuramente ad oggi più impatta sul disegno comunitario è il modello tedesco.

La Germania è il primo Paese dell’UE ad essersi approcciato al tema Industria 4.0: già nel 2007, infatti, è stato progettato e implementato un piano pluriennale di investimenti in ricerca e sviluppo in settori tecnologici, l’Hight-Tech Strategy. Inoltre, con largo anticipo rispetto a tutti gli altri Paesi europei, ha disposto un budget di 400 milioni di euro per la realizzazione del progetto “Plattform Industrie 4.0”, una piattaforma nata dalla cooperazione tra settore pubblico e privato al fine di discutere sulle modalità ideali idonee al raggiungimento del risultato tanto sperato: l’integrazione tra hardware, software, lavoratori e consumatori. Questo è il reale punto in comune di condivisione tra modello tedesco e americano, Ci sono invece una serie di differenze determinate dalle diversità di contesto, prima tra tutte la preferenza europea ad adottare le IoT (Internet of Things), neologismo che fa riferimento all’estensione di internet al mondo degli oggetti concreti (Cervelli, et al., 2017). Il motivo per il quale viene privilegiato l’utilizzo di tale tipologia di tecnologia abilitante è causato dalla volontà di sostenere il settore manifatturiero in Germania, preferenza che invece viene meno negli Stati Uniti dove, invece, si punta al rafforzamento dell’economia nel suo complesso. Altra rilevante discrepanza tra i due approcci è data dal soggetto investitore: nel modello americano il piano Industria 4.0 tende ad essere finanziato sostanzialmente dal settore privato, tendenza che viene meno in Europa in generale, dove, invece, il progresso tecnologico può contare sul sostegno economico pubblico.

In territorio francese Industrie du Futur, implementato nel 2015, si pone principalmente lo scopo di creare delle migliorie non soltanto riferite alla supply chain, ma anche alla parte organizzativa: l’innovazione infatti a cui si mira comprende la ricerca di nuovi modelli di business e di strategie di marketing originali, non solo quindi prettamente legati alla gestione delle tecnologie abilitanti in azienda (A. Mangone & T. Mazali, 2016). Al fine di perseguire questo ammodernamento dell’industria francese, il budget messo a disposizione dal programma di intervento PIAVE (Projets industriels d’avenir) e dal fondo SPI (Sociétés de projets industriels) è pari rispettivamente a 305 e 425 milioni di euro (Seregni, 2016).

Per completare il panorama europeo, quali sono i programmi di intervento previsti dal Governo inglese?

Per poter rispondere è bene partire dalla definizione del problema obiettivo a cui le istituzioni cercano di porre rimedio: poca competitività del settore industriale inglese. A fronte di questa difficoltà emersa, il Regno Unito ha disegnato il proprio piano d’azione denominato High Value Manifacturing il quale punta all’erogazione di incentivi pubblici.

E in Italia? Qual è la situazione del nostro Paese? Secondo Josef Nierling, amministratore delegato italo-tedesco della Porsche Consulting, in un’intervista rilasciata nel settembre del 2015 ad un giornale digitale, Linkiesta, il tessuto imprenditoriale italiano meglio si adatta al paradigma germanico rispetto a quello americano. Analizzando la situazione italiana Josef afferma «All’Italia manca una cosa, soprattutto: serve che la politica dia la direzione». Esattamente un anno dopo, il ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda presenta il Piano nazionale Industria 4.0. Per concludere, la direzione comunitaria che le strategie adottate evidenza è la tendenza al reshoring (Magone , et al., 2016). La volontà di riportare gli investimenti in Europa incentivando la produzione manifatturiera entro i confini europei è giustificata da alcuni dati di fatto: la produzione industriale ha un ruolo rilevante a livello europeo incidendo per il 15% sul PIL europeo; le esportazioni relative ai prodotti manifatturieri dell’Unione Europea occupano l’80% di quelle totali; infine, non meno importante, è il ruolo occupato dall’industria sul mercato del lavoro. Con riferimento a quest’ultima considerazione, il peso che il settore manifatturiero ha in termini occupazionali è molto forte: esso vede impiegati all’incirca 30 milioni di lavoratori, numero che raddoppia se si include anche tutta la parte della logistica legata all’industria (Seregni, 2016).

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